The CrossingSeason 1 Recap: una serie menomata

Un approccio originale e interessante al tema del viaggio nel tempo da un futuro sanguinoso, ma la cancellazione della serie annunciata a metà stagione la rende prevedibilmente incompleta e rovinata.

6.3

Una serie che parla di viaggi nel tempo e di intrighi di varia natura sicuramente necessiterà di almeno un paio di stagioni per poter sperare di avere un qualsiasi significato. Soprattutto se si opta per una partenza relativamente lenta per quanto dal concetto intrigantissimo come è stato per questa serie, e cioè l’arrivo in massa di un gruppo di viaggiatori temporali in fuga da un futuro orrendo, dei rifugiati di guerra temporali scappati nel passato per poter vivere una vita normale invece di essere braccati e uccisi dai loro avversari.
Se però dopo aver trasmesso sei episodi sugli undici previsti l’emittente (ABC, famosa per repentine cancellazioni di massa) ne annuncia la cancellazione, il pubblico pensa una sola cosa: che senso ha continuare a vedere un prodotto che rimarrà comunque incompleto?
Superato il giro di boa di metà cammino è una certezza il fatto che la maggior parte delle trame non avrà una conclusione, sarebbe impossibile.

Non ci vengono mostrati guerrieri del futuro tornati indietro per eliminare la possibilità che il loro tempo si realizzi, ma profughi in fuga da quella guerra, gente che si vuole lasciare tutto alle spalle[/pulquote]

L’idea era probabilmente di incentrare la prima stagione sui rifugiati, raccontarne l’arrivo e le peripezie, l’internamento nel campo nei boschi, le macchinazioni del perfido Lindauer e dei suoi colleghi della prima ondata, e seminare indizi per il seguito, quando ci saremmo magari incamminati verso il futuro da cui loro scappavano, assistendo alla lotta dei protagonisti per impedirlo.
Però è stata staccata la spina, e la valutazione complessiva non può non tenere conto dell’incompiutezza della serie.

L’idea di fondo, per quanto non originale, era stata sviluppata in modo molto particolare e intrigante: i viaggiatori che veniamo a conoscere non sono guerrieri spediti indietro nel tempo per una sacra missione, non c’è un Kyle Reese spedito a difendere il futuro leader della ribellione, non ci sono dei volontari spediti dal Direttore a modificare il passato per migliorare il futuro, non c’è James Cole a compiere molteplici salti temporali per fermare l’esercito delle dodici scimmie e cambiare il mondo. No, nessun eroe solitario pronto a sacrificarsi per la salvezza dell’umanità, qui abbiamo un gruppo di profughi. Gente che dopo aver vissuto letteralmente l’inferno ha puntato tutto sulla possibilità di sfuggire alle persecuzioni venendo spediti indietro nel tempo, prima che tutto avesse inizio.
Persone e famiglie che avevano perso tutto, inclusi amici e familiari, prive di speranze. E buona parte di loro era morta nel processo, visto che per un errore erano finiti sott’acqua, nell’oceano.

Ricorda qualcosa, questo incipit? Magari scene di attualità?

The Crossing presenta sia pregi che difetti.
Tra i primi sicuramente il carattere atipico dell’approccio al viaggio temporale, che gli garantisce un certo grado di originalità all’interno di un genere abbastanza sfruttato, ed esplorato ampiamente.
C’è poi una questione che si intuisce inizialmente e che poi diventa sempre più chiara: i cattivi di questa serie sono i veri buoni. O meglio, chi in questa serie assume il manto di villain è chi, solitamente, di queste storie è il protagonista. Il gruppo scelto di viaggiatori della prima migrazione è arrivato con l’obiettivo di colpire bersagli scelti con cura, allo scopo di prevenire la nascita degli Apex. Quando scoprono di aver fallito, e che un’Apex è arrivata nel passato, ideano un nuovo piano di emergenza: sacrificare una parte di popolazione mondiale per assicurarsi che il Nemico non possa mai sorgere. Una scelta durissima e spietata, che però vista la loro situazione e lo stato del mondo si può arrivare a capire.
E ci si trova quindi a simpatizzare con i nemici, arrivando razionalmente a tifare per loro.

Poi ci sono gli spunti interessanti, come il ruolo futuro di Marshall e il suo legame con Hannah o con chi le ha dato il medaglione, un ruolo che evoca simpatici paradossi temporali. Lo stesso Marshall, nel finale, si interrogherà al riguardo chiedendosi se l’arrivo di questi viaggiatori gli abbia cambiato la vita o lo abbia invece indirizzato verso quella che doveva vivere.
Abbiamo la bomba a orologeria rappresentata da Leah, l’unica persona sulla Terra – nel passato – portatrice del virus che nel futuro ha decimato l’umanità. Anche qui, la razionalità dice una cosa, ma empatia e sentimenti urlano di stare dalla sua parte, da quella di sua madre, di proteggerla e tenerla al sicuro.
E poi la scelta di eliminare con freddezza un personaggio che fino ad allora era stato tra i protagonisti, una mossa coraggiosa che ha fatto sì che si temesse per chiunque non fosse il personaggio principale.

I difetti, però, evidentemente per l’emittente hanno pesato più dei pregi.
La lentezza della serie, che spesso resta impantanata in attesa di uno spunto per far procedere velocemente la storia fino al fermo successivo. Un andamento a singhiozzo che diventa meno opprimente avvicinandosi alla fine, ma che avrà sicuramente influito molto nel calo costante di spettatori. Un peccato, visto che il pilot era partito con una buona velocità, saltando possibili motivi di rallentamento spiegando subito la provenienza dei rifugiati.

Poi abbiamo alcune incongruenze, come il comportamento di Reece che pare essere l’unica Apex a dimostrare sentimenti, finendo col trovarsi a disagio nella società quasi robotica dei suoi simili e arrivando a combatterli. Un po’ banale che solo lei sia la persona diversa dalle altre, no? Così come stona un po’ questa rigidità della struttura della nuova specie dominante: dopotutto sono umani geneticamente modificati, non sono robot. Invece si comportano come fossero Meganoidi… per non parlare poi della facilità con cui viene catturata per ben due volte la donna Apex. Da come ne parlano sono macchine da guerra inarrestabili, nella pratica invece non sembra certo così, la loro arma migliore pare essere il virus che hanno creato.

C’è anche l’assurdità del comportamento del gruppo della prima migrazione. Arrivano nuovi migranti, scopri che hai fallito, idei un nuovo piano. Benissimo. Ma perché aggiungere la postilla “eliminare tutti i nuovi cronoviaggiatori“? Perché non parlarci, interrogarli, scoprire di chi ci si può fidare per mantenere il segreto e di chi no, e mettere i secondi in isolamento da qualche parte, integrare i primi? Tra di loro c’è almeno un ex combattente, c’era una persona con enormi conoscenze, un paio di scenziate. Invece no, dopo dieci anni il primo imprevisto li manda nel panico e optano per eliminare ogni traccia. Geniale.
Alcuni colpi di scena poi erano ampiamente prevedibili, come la nascita degli Apex, il destino di Paul…

È strano infine che nell’episodio finale si sia deciso, quasi in segno di sfida, di disseminare tantissimi indizispunti per il futuro, come a cercare di far capire al pubblico e ai produttori che gli hanno imposto di chiudere la storia che direzione avrebbe preso la seconda stagione.
Una seconda stagione apparentemente con più azione, con un gruppo che si può ipotizzare di deriva fanatica a piede libero per l’America a poter profetizzare la fine del mondo, con i rifugiati ormai liberi, con il gruppo dei primi migranti ormai scisso, con la questione del nome di Ellis nelle memorie della schiava degli Apex, con il dubbio che il sogno finale di Jude possa essere rivelatorio e implicare che anche Oliver avrà un luogo, con l’ascesa del primo Apex, con la quasi certezza di nuovi arrivi dal futuro.
Si sarebbe prospettato insomma un ruolo quasi alla John Connor per Jude (o per suo figlio?), una guerra tra almeno tre fronti (prima ondata, Jude e alleati, Apex), con in più la consapevolezza che lo stesso Marshall avrebbe dovuto avere un peso importante nella storia.

Restano un po’ di rimpianti per quella che poteva essere una bella serie, e per una seconda stagione che partiva con buone idee, rovinata però da un ritmo troppo lento che non è riuscito a legare a sé gli spettatori.
Probabile anche che l’assurda etichetta, prima della messa in onda, di possibile nuovo Lost avesse attirato il pubblico sbagliato per una serie di fantascienza fondata sul concetto di viaggio temporale.
Resta il fatto che una serie di questo tipo, piena di sottotrame e di misteri legati al futuro, finendo all’improvviso dopo la prima stagione non risolverà le vicende narrate, abbandonerà i vari spunti disseminati e lasciati così a morire. Sarà insomma un qualcosa di monco, di irrealizzato, di inutile e incompleto. Inutile da recuperare o da far vedere in futuro, vista la sua totale incompiutezza.

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Porcamiseria
  • 7/10
    Storia - 7/10
  • 5/10
    Tecnica - 5/10
  • 7/10
    Emozione - 7/10
6.3/10

In breve

The Crossing era partita bene, con un pilot dotato di buon ritmo. La storia e il progetto erano buoni, la scelta di focalizzarsi su questa seconda migrazione coraggiosa e originale. Ma il ritmo troppo lento ha condannato la serie all’oblio, e una serie di questo tipo troncata dopo una stagione diventa priva di senso.

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Porcamiseria

6.3

The Crossing era partita bene, con un pilot dotato di buon ritmo. La storia e il progetto erano buoni, la scelta di focalizzarsi su questa seconda migrazione coraggiosa e originale. Ma il ritmo troppo lento ha condannato la serie all'oblio, e una serie di questo tipo troncata dopo una stagione diventa priva di senso.

Storia 7 Tecnica 5 Emozione 7
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