The Plot Against AmericaThe Plot Against America: o la realtà raccontata tramite l’irrealtà e viceversa

La storia non esiste al di fuori delle esperienze di ognuno di noi. È questo che The Plot Against America ci vuole dire, svelandoci come noi siamo il prodotto e la conseguenza delle nostre scelte. I Levin sono il mezzo tramite il quale Philip Roth ci aveva detto questo nel suo romanzo: ora la HBO ce lo dice visivamente.

7.0

Se dovessero chiedervi di cosa parla The Plot Against America, miniserie HBO in sei episodi tratta dall’omonimo romanzo di Philip Roth, sarebbe semplice ma al contempo difficile dare una risposta davvero soddisfacente. Questo non perché la trama sia contorta o di ardua interpretazione, anzi essa è davvero semplice, a tratti quasi banale nella sua evoluzione. La soluzione alla domanda sta nel fatto che la serie, e di conseguenza l’opera dalla quale essa è tratta, non ha un unico livello di narrazione: bensì ne ha due.

The Plot Against America, come qualsiasi libro o serie tv che si rispetti, deve parlare al pubblico, non deve semplicemente raccontare una storia, ma deve soprattutto trasmettere qualcosa, da semplici emozioni fino a suggestivi messaggi. E questo, lo scrittore di Newark, è riuscito a farlo benissimo nel suo romanzo e, fortunatamente, la HBO non è stata da meno nella trasposizione televisiva della storia. Ma quali sono dunque questi due livelli?

Il primo è molto semplice, è quello della storia stessa. È quello che racconta l’irrealtà in un mondo che allo spettatore sembra davvero reale. Questo lo abbiamo già delineato nella recensione che abbiamo fatto al primo episodio, dove l’ottima scenografia più di tutto è riuscita visivamente a portarci negli anni Quaranta del secolo scorso. Poi ovviamente il grosso del merito va allo stesso Roth che è riuscito ad ideare una storia sì perfettamente inserita nei canoni dell’ucronia, ma che ha molti legami con quella che è stata la realtà storica. Gli Stati Uniti che vediamo sono quelli che ci aspetteremmo, vediamo il Presidente Roosevelt che tutti conosciamo. Poi c’è Charles Lindbergh, lui che nella storia rappresenterebbe l’elemento ucronico, ma che poi realmente ucronico non è. Questo perché Lindbergh è vissuto davvero, è stato davvero un ottimo aeronauta così come nella serie viene spesso ricordato, è stato davvero un simpatizzante nazista: nella nostra realtà, però, lui alle elezioni presidenziali non ci arrivò mai.

I personaggi si trovano così ad affrontare una situazione che negli Stati Uniti nessuno si sarebbe mai aspettato, la terra delle libertà e delle opportunità ora diventata landa desolata dove odio e rancore sembrano regnare incontrastate. I sei episodi raccontano proprio questo, seppur in maniera non proprio scorrevole. Ovviamente non è mai semplice fare un’ottima trasposizione di un opera letteraria: qui probabilmente un episodio in meno avrebbe giovato alla narrazione. Infatti spesso si denotava una certa lentezza all’interno del racconto, un dilungare cose semplicemente con l’obiettivo di arrivare ai sessanta minuti di puntata. I personaggi, al contrario, vuoi per merito di Roth, vuoi per bravura del cast, sono messi ottimamente a fuoco, benché non fosse semplice la creazione di un legame empatico con loro: qui però è molto soggettivo. I Levin, ologrammi della famiglia di Philip Roth, diventano gli occhi tramite i quali noi stessi possiamo vedere e leggere ciò che accade, interpretarlo e analizzarlo, discuterne.

Ed è proprio qui che si eleva il secondo livello di narrazione. I protagonisti non diventano più i Levin e i loro drammi, ma noi. Questo livello di racconto è quello della realtà in un mondo che noi vediamo come irreale: non è quello che abbiamo conosciuto sui libri di storia, ma il suo essere irreale lo rende molto più che reale. Philip Roth ci racconta una storia di scelte consapevoli portate avanti dai protagonisti che non fanno altro che modellare il corso degli eventi. Non solo i Levin, ma tutti gli esseri umani appartenenti a quell’universo compiono determinate scelte che portano Lindbergh, un simpatizzante nazista, al comando degli Stati Uniti d’America. Ciò che Roth ci vuole espressamente dire con il suo racconto è che la storia non è l’evolversi di avvenimenti casuali e randomici, ma è la diretta emanazione delle nostre scelte: questo perché la storia siamo noi. Il mondo nel quale sia i Levin che tutti noi veniamo catapultati diventa reale nella sua irrealtà e al contempo irreale nella sua realtà, un meraviglioso gioco che parla solo e soltanto a noi.

The Plot Against America racconta dunque ciò che siamo noi, esseri che compiono scelte più o meno consapevoli le quali andranno ad incidere sul futuro di tutti. Sicuramente la serie poteva portare avanti il racconto in maniera differente, ad esempio raccontandoci qualcosa di più del periodo in guerra di Alvin, oppure raccontarci la storia, così come accade nel libro, dal punto di vista del piccolo Philip, ma quello che fa è comunque più che sufficiente. In primis The Plot Against America è però un racconto di formazione: i Levin la compiono perfettamente e in fondo lo portiamo a termine anche noi spettatori.

 

 

  • 6.5/10
    Storia - 6.5/10
  • 7.5/10
    Tecnica - 7.5/10
  • 7/10
    Emozione - 7/10
7/10

Summary

Come ogni serie tratta da un romanzo, vi sono lati negativi e lati positivi. Certamente la storia poteva essere portata avanti in maniera differente, concentrandosi di più su alcuni punti e lasciando altri, però il risultato può essere alla fine considerato più che sufficiente. Ottimo il cast che riesce a dare voce ai protagonisti, per i quali il merito va come è ovvio a Philip Roth

Porcamiseria

7

Come ogni serie tratta da un romanzo, vi sono lati negativi e lati positivi. Certamente la storia poteva essere portata avanti in maniera differente, concentrandosi di più su alcuni punti e lasciando altri, però il risultato può essere alla fine considerato più che sufficiente. Ottimo il cast che riesce a dare voce ai protagonisti, per i quali il merito va come è ovvio a Philip Roth

Storia 6.5 Tecnica 7.5 Emozione 7
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