Quando si parla di The Walking Dead, sono due le cose principali che saltano alla mente: gli zombie (elegantemente chiamati “erranti” nella serie televisiva) e l’istinto di sopravvivenza. È curioso che in questo episodio, incentrato sull’adattamento di Rick e compagni nella loro nuova dimora di Alexandria, questi due aspetti siano del tutto latenti, rendendo “Forget” una puntata estremamente atipica.
Questo tredicesimo appuntamento con The Walking Dead è tutto incentrato sui tentativi di adattamento dei nostri ad una nuova vita, un’esistenza che, nel tempo trascorso dall’inizio dell’apocalisse, hanno avuto modo di dimenticare; il ritorno alla socializzazione con il prossimo non è sicuramente facile, e una situazione come la festa di benvenuto organizzata da Deanna è stata un trauma per più di qualcuno.
Prima tra tutti, ovviamente, Sasha, che ormai non perde occasione per farsi notare (in senso negativo) e per piazzare una o due scenate del tutto random e insensate; ormai non riesco più a capire se l’assoluta mancanza di empatia che provo nei confronti di questo personaggio è dovuta al fatto che non è mai stato caratterizzato a dovere (e, quindi, ogni sua manifestazione emotiva mi sembra totalmente senza senso), oppure se effettivamente gli autori stanno facendo di tutto per renderla un personaggio mentalmente instabile e, semplicemente, odioso.
La sceneggiata plateale di cui si è resa protagonista, contro quella povera signora che le chiedeva quale fosse il suo piatto preferito perchè “aveva paura di cucinarle qualcosa che non le piacesse”, è stata davvero patetica, uno di quei momenti in cui guardando lo schermo non riesci a provare altro che forte imbarazzo.
Sì, Sasha, rassegnati al fatto che nel mondo, anche nel bel mezzo di un’apocalisse zombie, ci siano persone la cui preoccupazione principale è decidere cosa mangiare per cena. Io capisco la difficoltà di adattamento, e posso solo immaginare il senso di estraniamento che si può provare in una situazione del genere dopo anni passati a vivere per strada in costante pericolo, ma non è sicuramente agendo in questo modo che fai dei passi avanti verso l’integrazione.
Parlando di integrazione, poi, come non menzionare il diabolico piano di Rick, Daryl e Carol (figlia mia, che mi combini…), che hanno deciso -ancora non si sa perchè- di rubare delle pistole dall’arsenale per andare là fuori a giocare al tiro al piccione.
Probabilmente fa tutto parte del piano di conquista che Rick, sotto sotto, ha in mente da quando è entrato ad Alexandria; un piano di cui, tuttavia, fatico a capire le reali motivazioni: questi ti sono venuti a cercare, ti hanno accolto a braccia aperte dandoti una casa, montagne di cibo e un lavoro utile alla comunità. E ti fanno una festa di benvenuto. Per quale assurdo motivo dovresti entrare in guerra con questi poveracci? Per avere una casa a testa? Per manie di conquista fini a se stesse?
Anche la minaccia di Carol al bambino, che l’ha beccata con le mani in pasta mentre trafugava le pistole da fornire ai suoi compagnucci di scorribande, è talmente out-of-character che da un secondo all’altro mi aspettavo scoppiasse a ridere dando una pacca sulla spalla al povero piccolo (che, ricordiamolo, l’aveva seguita perchè credeva stesse andando a preparargli dei biscotti fatti in casa).
E invece no, lo voleva intimidire davvero. Carol, ma cosa diavolo ti è preso?
In questo tripudio di situazioni al limite del nonsense, fortunatamente ci sono un paio di note estremamente positive.
Prima di tutto, finalmente Rick si sta lasciando un po’ andare e sta mostrando delle emozioni che non siano dettate esclusivamente dall’istinto di sopravvivenza: vedere un’evoluzione così marcata nei suoi atteggiamenti, e in così poco tempo, mi ha davvero stupito; mi è sembrato, in alcuni frangenti, molto simile al Rick della prima stagione, più compassionevole ed emotivo, e meno arrogante. Non posso che essere felice della nuova rappresentazione del suo personaggio (complice un Andrew Lincoln sempre all’altezza delle aspettative), che dà nuova linfa vitale ad un personaggio che, ormai, sembrava aver detto tutto.
Anche Daryl sembra aver trovato finalmente il suo posto nella piccola comunità, più precisamente accanto ad Aaron. I due personaggi hanno in comune più di quanto sembra: sapevamo già che Aaron si sente escluso dalla sua comunità a causa della sua omosessualità, e di sicuro anche Daryl, dal suo ingresso in Alexandria, non ha fatto granché per integrarsi (riuscendo, anzi, a tenere leggermente le distanze anche dal suo gruppo). Su queste basi, prevedo l’inizio di una bel rapporto di collaborazione tra i due personaggi.
Guardando questa puntata, appare davvero innegabile che la storyline di Alexandria abbia tutte le carte in regola per consentire alla serie di fare il definitivo salto di qualità di cui necessita da molto tempo. Resta da capire, inoltre, qual è il significato del marchio a forma di W trovato sugli zombie al di fuori delle mura della cittadina; il marchio è identico a quello di alcuni erranti presenti nella città natale di Noah, i cui abitanti sono poi stati sterminati brutalmente per mano di non si sa chi, quindi prevedo rogne in arrivo.
La puntata, ad ogni modo, pur addentrandosi nella psicologia dei personaggi come raramente è stato fatto nelle storyline viste finora, non riesce a centrare completamente il bersaglio a causa di alcune scelte di scrittura non del tutto riuscite. In fin dei conti, la puntata risulta godibile ma non si è rivelata al pari dei due precedenti (ed eccellenti) episodi.
Per questo motivo, sebbene la puntata sia comunque decisamente al di sopra della media di stagione (come sappiamo, molto altalenante), non posso che assegnare a “Forget” una stretta sufficienza di tre PorcaMiseria su cinque.
Porcamiseria
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