The Walking Dead7×02 The Well

In questo episodio monografico dedicato a Carol, e alla scoperta della nuova, intrigante comunità di The Kingdom, emergono tutte le falle di una scrittura del personaggio non proprio esaltante e poco coerente con l'ottimo percorso tracciato finora.

0.0

The Walking Dead ha sempre abituato i suoi spettatori a dei poderosi alti e bassi: singoli episodi da dieci e lode, seguiti immancabilmente da episodi più riflessivi e, spesso e volentieri, del tutto evitabili o quantomeno migliorabili dal punto di vista delle scelte narrative.
Dopo la première con il botto di settimana scorsa, un episodio più riflessivo che consentisse di prendere un po’ di respiro dagli sconvolgenti avvenimenti che hanno visto protagonisti Rick e soci era prevedibile, e forse doveroso. La strada scelta dagli autori per questo secondo episodio, The Well, è quella nuovamente dell’episodio monografico, dedicato principalmente a Carol – uno dei personaggi dall’evoluzione più curiosa di tutta la serie – e in misura minore a Morgan, suo antagonista ideologico che si trova suo malgrado a salvare la donna dai Saviour e, in misura ancora più rilevante, da se stessa.

the walking dead 7x02 recensione the well

Tutto l’episodio si rivela in realtà uno stratagemma – in parte riuscito – per introdurre una nuova comunità, The Kingdom, conosciuta e amata dagli appassionati del fumetto, forse anche in virtù della sua natura antitetica rispetto agli antagonisti principali costituiti dai Salvatori; The Kingdom è, infatti, un regno prospero e autonomo, che trova il suo leader carismatico nella figura dell’eccentrico King Ezekiel (Khary Payton) accompagnato dalla sua fidata tigre Shiva.
La comunità è dipinta, fin dal primo risveglio di Carol, come un vero paradiso in terra al tempo della zombie apocalypse: oltre a non palesare nessun segno di possibili ritorsioni verso i nuovi visitatori, la comunità si basa su un unico, condivisibilissimo dogma enunciato proprio da Ezekiel durante la “visita di cortesia” di Carol:

Drink from the well, replenish the well.

Di fronte all’opera di salvataggio del tutto disinteressata offerta dagli abitanti di The Kingdom, che inoltre accolgono con inaspettata ospitalità i due nuovi arrivati rafforzandone il senso di comunità “amica”, il rispetto di un principio del genere sembrerebbe doveroso per chiunque sia dotato di un minimo di senso civico, anche in tempi di apocalisse zombie.

Beh, non per Carol.

E qui iniziano e si esauriscono tutte le note dolenti di un episodio che, altrimenti, sarebbe potuto risultare riuscito al pari del precedente, nonostante le atmosfere completamente diverse. Le azioni di Carol durante tutto l’arco dell’episodio sono, semplicemente, ridicole e completamente avulse dal contesto della narrazione: tutta la comunità sarebbe per lei una “pagliacciata”, a partire dalla figura del leader (volutamente un po’ macchiettistico, ma arriveremo a parlare anche di questo). Nessun problema nel giudizio in sé, casomai il vero problema – e qui posso comprendere l’evidente imbarazzo che hanno provato gli autori nel dover giustificare un comportamento altrimenti incomprensibile, che traspare da ogni fotogramma – è che questo pregiudizio non trova la minima spiegazione, né il minimo indizio durante l’episodio che consenta allo spettatore di empatizzare con le emozioni di Carol.

the walking dead 7x02 recensione the well

Carol, tra tutti i personaggi, è quello che ha avuto l’evoluzione più netta in tutto l’universo di The Walking Dead; da mamma remissiva e premurosa a Terminator inarrestabile, a partire dal termine della stagione scorsa la donna ha subito un’involuzione dovuta all’eccessiva violenza del contesto in cui si trovava, che la costringeva a uccidere in maniera più o meno indiscriminata qualunque essere umano le si parasse davanti. Proprio alla luce di questo, risulta francamente out of character il suo comportamento nei confronti di una comunità che, semmai, potrebbe regalarle la serenità di cui ha bisogno, così lontana dalla sete guerrafondaia di un leader come Rick.

Ed è soprattutto nell’interazione con King Ezekiel che queste incongruenze emergono con forza, minando alla base l’impianto narrativo dell’episodio. Non basta il palese riferimento alla cultura dell’Antica Grecia nel momento in cui il Re porge a Carol un melograno – frutto mediante il quale Ade riuscì ad intrappolare Persefone nel mondo degli Inferi – prontamente rifiutato dalla donna in tono di sfida, né il trito e ritrito espediente utilizzato dalla donna per apparire indifesa e volutamente stupida: è il dialogo finale trai due veri protagonisti di questo episodio a mettere in chiara luce le differenze tra la comunità di The Kingdom e Alexandria (ormai allo sfacelo a causa di una gestione approssimativa e improvvisata da parte di Rick, di cui anche Carol è complice e tra i primi colpevoli).
Laddove, infatti, Rick è un leader dalla natura dittatoriale e dispotica, impostosi con la forza bruta immotivatamente e in più di un’occasione, Ezekiel rappresenta il lato “buono” della leadership: un leader de facto, non imposto ma accettato unanimemente dal suo popolo e che, forse proprio per questo motivo, rappresenta un sostegno e non un fardello con conseguenze catastrofiche.

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Per Carol, però, nemmeno queste evidenze sono sufficienti: lei preferisce ritirarsi a vita privata, senza una motivazione apparente se non quella di allontanarsi dalle uccisioni indiscriminate che l’hanno coinvolta nel passato recente (circostanza, peraltro, tutta da dimostrare). La motivazione inesistente alla base delle azioni di Carol non fa altro che minare tutta la sua plotline rendendo l’episodio in buona parte irritante e ridondante.
In definitiva, pur riconoscendo come The Walking Dead sembri in questa stagione voler operare delle scelte più coraggiose rispetto al passato, introducendo simultaneamente diverse nuove dinamiche e aumentando la varietà narrativa, ogni speranza di vedere un altro episodio di buona fattura è completamente naufragata a causa della pessima opera di scrittura di un personaggio come Carol – pilastro portante di tutta la serie – davvero disastrosa e non in linea con le potenzialità che ha da offrire.

2.5

 

Il voto – con una buona dose di generosità motivata esclusivamente dall’introduzione di un leader riuscito e carismatico come King Ezekiel – non può superare, a malincuore, i due porcamiseria e mezzo su cinque. La speranza, a questo punto, è che una narrazione coerente – al pari di quanto avvenuto con il plot principale – riprenda anche in questo filone secondario.

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