The Walking Dead7×15 Something They Need

In attesa del gran finale di stagione di The Walking Dead, Something They Need risolve alcune situazioni lasciate in sospeso. Il proverbiale «meglio tardi che mai» è nemico della narrazione seriale. Il rischio è quello di raffazzonare un mappazzone disordinato di ingredienti, a causa del poco tempo. La scontro coi Saviors durerà davvero solo una puntata o dovremo aspettare la prossima stagione per la risoluzione dei conti?

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Nell’ultimo articolo avevamo detto che in due puntate si sarebbero dovuti sciogliere tre ingarbugliati snodi narrativi: lo scontro tra Alexandria e Oceanside, la decisione di Jadis di combattere con Rick e l’ambigua posizione di Dwight, diviso tra la fedeltà e il tradimento verso Negan.

In Something They Need, come previsto, due su tre sono stati risolti, o così pare: da un lato Oceanside si è arresa, cedendo le proprie armi ai nostri, dall’altro Dwight si è deciso a unirsi alla causa contro i Saviors.

7x15 something they need the walking dead serial freaks

Al contrario, a sorprenderci è sicuramente stato il precoce fallimento della missione omicida di Sasha, che ci siamo ritrovati senza perché né come già bell’e imprigionata nella suite nuziale dell’hotel Il Santuario: una camera senza vista, angusta e buia, il cui ultimo ospite Daryl ne ha decantato le disumanità nella sua ultima recensione su TrapAdvisor.   

I motivi della cattura, insomma, gli autori hanno voluto lasciarli all’immaginazione degli spettatori, per evidente scarsità di tempo. Manca poco alla fine della stagione, perciò: taglia, taglia, taglia!

La cattura di Sasha assume un duplice scopo nella logica del racconto: essere la controparte di Dwight (nelle mani di Rick) e connotare una volta di più la bizzarra etica di Negan il quale sopporta il mal costume, il tradimento e la meschinità meno di coloro che puntualmente attentano alla sua persona dei quali, al contrario, apprezza il coraggio:

You got some bitch ball sized lady nuts on you.

Certamente, questo è l’aspetto che più definisce il personaggio, che più affascina e che più di tutto ci fa dubitare della sua assoluta cattiveria. Mi piace sempre ricordare che l’omicidio di Glenn e Abraham è stato il prezzo da pagare per lo scellerato assassinio di molti dei suoi uomini. Non è stato a titolo gratuito, per così dire.

A parti invertite, non avrebbe fatto la stessa cosa Rick? Sostanzialmente sì, ma in maniera diversa.

Ciò che differenzia i due è lo stile.

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Negan è un istrione a cui piace tanto ondeggiare sui fianchi, mettersi in mostra e trovare parole argute per sublimare l’omicidio. Quando si tratta di ammazzare qualcuno, sembra infatti seguire una sorta di estetica omicida ben precisa tutta riassunta nella malizia del suo sinistro sorriso. C’è del sadismo nel suo modo di uccidere, una sorta di godimento primitivo che non nasconde, ma anzi, pare glorificare attraverso le sue piccole pose gestuali e rituali.

Rick invece è un uomo di legge, e come la legge si comporta in modo freddo, distaccato e procedurale. Quando c’è da uccidere, Rick giudica e spara. Non si ferma a intrattenere il suo pubblico con seducenti eloqui, come il collega, o a dondolarsi come se stesse al centro di un palcoscenico. Non c’è sadismo nei suoi modi di fare, ma piuttosto una sorta di moralismo da giustiziere che lo fa apparire tanto serioso e illuminato, quanto rapido.

Se per Negan ammazzare è uno spettacolo, per Rick è una necessità.

Cosa invece differenzia Negan da tutti i personaggi finora incontrati nella serie? Il fatto che di lui non sappiamo nulla. È difatti un’emanazione senza storia e senza tempo: ad un certo punto ce lo siamo ritrovati di fronte, senza sapere come fosse arrivato a diventare ciò che è. Nessun flashback ad illuminare il suo passato. La stessa follia del Governor si generava sulla tragedia della morte della figlia.

Negan dovrebbe perciò rappresentare il male radicale, assoluto e senza ragioni.

Questo è il motivo per cui non riusciamo a nutrire un briciolo di compassione nei suoi confronti e perché sentiamo ingiusto il suo modo d’agire. Il suo essere sincronico, l’essere un personaggio totalmente presente, non deve però ingannarci su una cosa: lui ha comunque delle persone da proteggere e da sfamare. Come gli altri, lui uccide per sopravvivere.

I just want you to understand we are not monsters.

Allora, mi domando, c’è differenza tra il disarmare completamente Oceanside o lo sguarnire Alexandria? C’è più cattiveria nell’eccidio notturno o nell’esecuzione mattinale?

Mi pongo queste domande per una ragione ben precisa: perché questa stagione è stata una di quelle prevalentemente senza zombie e in cui il focus è stato perciò spostato sul comportamento dell’uomo e sulle varie relazioni.

Poiché però non si è voluto analizzare a fondo l’origine della psicologia di Negan, non si è sviscerato il grado di bene/male, giusto/ingiusto, razionalità/irrazionalità che articola la sua personalità. Il tutto è stato invece smorzato su un piano più sentimentale, legato solo al trauma della morte di Glenn e Abraham, cosa che ha distinto nettamente e fin da subito i ruoli di bene e male, personificati da Rick e Negan.

Ciò è sicuramente una novità (piaccia o meno) di una serie in cui i principali antagonisti (oltre al Governor, ricordiamo per esempio Shane) il cui essere cattivi veniva progressivamente costruito e non dato per scontato. Così come la bontà di Rick spesse volte è stata messa in crisi e adombrata da comportamenti più da antagonista.

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L’unico personaggio a incarnare tale complessità è invece Dwight, la cui intricata e turbolenta storia appassiona di più. Come il suo volto, anche il suo animo è sfigurato in una schisi. Ciò porta a chiedersi se la sua conversione non sia piuttosto un trucco per infiltrarsi nella compagnia di Alexandria. Ipotesi suffragata dallo stesso Negan quando rivela a Sasha di sapere, grazia a una sua fonte, che Rick e compagnia stanno organizzando qualcosa.

Per questo motivo Dwight e Sasha potrebbero giocare lo stesso doppio gioco ma per squadre diverse.

Something They Need vuole preparare il terreno allo scontro finale, lasciando però aperte alcune possibilità riguardo lo sviluppo della storia. Oltre a Sasha, Dwight e Jadis, un altro personaggio che fluttua nell’ombra dell’ambiguità, ma per ragioni diverse, è Eugene. Del resto l’opportunismo, figlio della codardia, è sicuramente una particolare accezione di ambiguità che non dà punti di riferimento in chiave militare. Non è per nulla scontato che durante il confronto (se ci sarà), all’ultimo respiro e per occorrenza personale, lo scienziato non decida di ritornare da Rick o di compiere qualche gesto eroico per redimere la sua pusillanime esistenza. 

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Questo episodio non è stato affatto male, anzi. C’è stata la giusta dose di adrenalina (nello scontro con Oceanside) una buona dose di suspense (durante il colloquio tra Maggie e Gregory) una giusta spolverata di sentimentalismo (con le confessioni di Eugene a Sasha) e il sapido pizzico del twist finale rappresentato da Dwight.

Eppure si ha come l’impressione che questo episodio sia dovuto arrivare molto prima, almeno due puntate fa.

Il grande rischio, quasi certo, è che il vero scontro non sarà tra Rick e Negan ma tra il tempo della storia e il tempo del racconto che appiattiranno il finale in una sommaria serie di veloci eventi che ammazzeranno la suspence, puntando tutto sull’azione e perciò terminando la stagione con ineleganti colpi di scena.

Tale rischio è tanto alto da farmi domandare se uno scontro in effetti ci sarà. Magari il grande cliffhanger finale, quello che ci farà passare un’estate insonne a domandarci che diamine accadrà, interromperà la stagione proprio prima o, almeno, nel momento saliente della battaglia.

In parte spero proprio sia così, perché costringere lo scontro con i Saviors in una manciata di minuti sarebbe davvero il colpo di grazia a una stagione nel complesso deludente.

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