The Walking Dead7×16 – The first day of the rest of your life

Season Finale Il Season Finale di The Walking Dead è stato un Season Finale? Senza chiedere aiuto a Gigi Marzullo, cerchiamo di rispondere a questa annosa questione, parlando di The First Day of The Rest Of Your Life e della Settima Stagione nel suo complesso.

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Io: Cosa credi accadrà nel finale?

Giuseppe: Temo che ci sarà davvero troppo poco tempo per far quadrare tutto, magari saltando in toto la negoziazione con Jadis per passare allo scontro implicando la loro alleanza. Scontro che, secondo me, si concluderà a metà per vivere di rendita almeno un’altra mezza stagione. Insomma, un ottimo midseason finale, ma un pessimo season finale.

Dopo il penultimo episodio di The Walking Dead, io e il mio collega Giuseppe ci siamo ridati alla dimenticata arte dell’aruspicina. Scrutando un po’ i nostri fegati, rosi dall’ultima stagione di The Walking Dead, abbiamo ipotizzato come sarebbe andata a finire: io rivelando le premonizioni del mio extispicio nello scorso articolo, lui rispondendo alla mia domanda. Conversazione che si è conclusa da parte mia con una battuta: «Hai praticamente già scritto la recensione del Season Finale!».

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Si trattava di divinazioni e perciò, sia lui sia io, ci abbiamo preso in parte ma non in tutto: il che è una fortuna, ovviamente, perché fosse stato altrimenti, ciò avrebbe significato la morte dell’imprevedibilità di uno sceneggiato che in questa settima stagione ha lasciato molto a desiderare per tanti altri motivi.
No, non faccio dell’inopinabile una questione di stile, anzi. Contro i colpi di scena forzati (deus ex machina), sintomatici di una carenza di quella vitamina chiamata “veridicità”, soffro di una violenta forma di iconoclastia che mi porta a distruggere la gratuità del volgare twist con altrettanto efferate scurrilità.

Ma non è questo il caso di The First Day of the Rest of Your Life che regala un bel risvolto: non uno di quelli che colmano insensatamente una lacuna, ma che semmai rappresentano la contingenza necessaria al proseguio della narrazione.

Insomma sì: come si diceva fra noi aruspici, c’era poco tempo per far quadrare tutto e così si è passati (quasi) direttamente allo scontro coi Saviors implicando l’alleanza con Jadis. Il “quasi” si riferisce a tutta quella prima fase di ulteriore preparazione la quale, se non fosse stata gestita con quella specifica tecnica narrativa, ormai data per estinta in The Walking Dead, sarebbe risultata soffocante.

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Il flashback ha dato invece levità e agilità alla narrazione, convogliando l’attenzione dello spettatore, per la prima volta, nel profondo della psiche di Sasha; proprio lei, come mai prima, ha svelato il suo amore per Abraham in una sorta di vago ricordo il quale, a seconda del credo dello spettatore, potrebbe essere apparso non come un passato ma: ai cristiani come una sorta di paradiso ritrovato, mentre ai nolaniani come un onirico universo parallelo dove le cose sono andate diversamente. Ammetto che per una manciata di minuti, ho avuto l’aberrante terrore che il tutto finisse con la mortificante rivelazione che fosse stato tutto un sogno. Pericolo scampato. Comunque sia, il sogno lucido di Sasha è servito per dare più spessore al suo suicidio e al suo sacrificio che è stato il vero punto di svolta dell’episodio.

Il “quasi” è stato dunque sapientemente intrecciato con un montaggio parallelo che, nel frattempo, indicava le varie strategie, decisioni e preparazioni allo scontro: da un lato Carol, Morgan e Ezekiel che già s’erano messi in soccorso di Alexandria e dall’altro Maggie e Jesus che decidevano se andare o restare, nonché altri spezzoni dedicati alla stessa Sasha che contratta insieme a Negan sulla severità della punizione da adottare contro i sediziosi. 

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Tutti i riflettori sono però puntati su Alexandria. Dove finalmente avverrà il fatidico scontro. L’aria è tesa e frizzante, c’è tanta speranza che serpeggia tra i viali deserti dell’avamposto, riverso in piazza pronto a prendersi la sua rivincita con Negan. Finalmente ci siamo, pensa anche lo spettatore il quale tuttavia rimane sospettoso nei riguardi di Dwight: starà dicendo la verità, oppure no? Ad un certo punto la camera inquadra un gruppo di ciclisti che sopraggiungono, seguiti da un paio di camion della nettezza urbana: devono essere gli Scavengers e Jadis.

I due gruppi preparano il campo di battaglia e parcheggiano un furgone sazio di esplosivo fuori dalla recinzione: il più sincero messaggio di bentornati a Saviors. Negan finalmente arriva, o meglio: ad arrivare è il solo Eugene, che propone a Rick una resa senza morti in cambio di un ritorno alla normale sottomissione quotidiana. Rick non ci sente perché sicuro del suo asso nella manica proprio accanto: accovacciati dietro le mura di lamiera l’esercito degli Scavengers è pronto a combattere con lui. Semplicemente un po’ sconvolto dalla conversione totale di Eugene, Rick non ha dubbi: dà a Rosita il segnale di far saltare in aria il camion.

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Finalmente l’agnizione: dopo la mancata detonazione, gli Scavengers rivelano il loro tradimento e prendono di mira gli Alexandriani, mentre Jadis punta una pistola su Rick al quale dice di aver accettato semplicemente un’offerta più allettante della sua. Il pre-scontro prosegue fino all’apertura della bara da dove esce una Sasha tramutata in zombie: il primo giorno del resto della sua vita è stato un piovoso lunedì. Questo è però un colpo di scena diegetico in quanto lo spettatore, a differenza di uno scioccato Negan, era già stato avvisato.
Per arrivare allo scontro vero e proprio, che alle parole ha sostituito lo squarcio della carne, lo scoppio dei proiettili e la viscosità del sangue, ci è voluto un po’: all’incirca 40 minuti.

Il “quasi di cui parlavamo prima è stato in verità bello lungo, ma per la prima volta in questa stagione è stato percettibilmente più veloce. Lo scontro è stato orchestrato molto bene e coi tempi giusti che hanno accompagnato lo spettatore in un rapido flusso di contrastanti emozioni, rispettivamente: finalmente si combatte! Ammazzali tutti, Carl! Uccidi Simon, Daryl! Oh no, hanno catturato Carl! No, dai non può ammazzare Carl!

L’esaltazione si placa
e il terrore s’impossessa ancora dello spettatore nel rimirare la quasi identica scena della prima puntata della stagione: padre e figlio, inermi e indifesi, minacciati dalla famelica Lucille. Finalmente però Rick prorompe in un discorso che sembra aver ritrovato il carisma del logos perduto da qualche parte tra la quinta e la sesta stagione:

You can do it right in front of me. You can take my hands. I told you already: I’m gonna kill you. All of you. Maybe not today, maybe not tomorrow… but nothing is gonna change that. Nothing. You’re all already dead.

A god damn Tiger!

Il sussulto ritorna subito dopo grazie alla spettacolare entrata in scena della tigre che finalmente si distingue per forza e utilità dai gattini delle pubblicità di cibo in scatola. Mentre Negan sta per colpire Carl, il felino atterra uno scagnozzo alle sue spalle: è arrivato Re Ezekiel e con lui la speranza della vittoria. Negan stesso sembra esserne stupito quando esclama: A god damn Tiger! Per la prima volta, il suo protervo e arrogante sorriso si trasforma prima in preoccupata smorfia e poi in ordine di ritirata. Lo spettatore, coi protagonisti, si gode finalmente la vendetta, covata per 15 interminabili episodi. 

Anche il voice over che accompagna le scene finali sembra voler ricucire il rapporto col suo pubblico, di cui forse aveva percepito la stanchezza, ricapitolando in poche battute l’intera trama di The Walking Dead: dall’incontro tra Glenn e Rick fino a quel preciso momento. Gli amanti della prima ora potrebbero non essere riusciti a trattenere qualche comprensibile lacrima. Se non per motivi narrativi, almeno per motivi temporali: in fondo, siamo tutti invecchiati di sette anni da quell’incontro. Come con le canzoni, quanti ricordi abbiamo connessi a The Walking Dead? Tantissimi. È la stessa emozione che dà il ritrovarsi con un vecchio amore ripercorrendo i bei momenti passati, i primi incontri e i primi baci.

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Più che un bel finale è stato un ottimo episodio. Perciò, come l’aruspice Giuseppe aveva predetto, sarebbe stato piuttosto un fantastico mid-season finale. È stato infatti un finale che definirei mancato sotto tutti i punti di vista: non c’è stato un cliffhanger segnante, non c’è stata risoluzione in nulla, non c’è stato un personaggio principale stecchito (senza offesa per Sasha), non c’è stata nemmeno una metamorfosi nei personaggi (forse solo in Dwight?).

Dal mio punto di vista non poteva che essere così, perché un ottimo episodio non avrebbe potuto coprire le pudende di una stagione deludente. Insomma, per la prima volta saluto The Walking Dead come saluterei quel vecchio amore, di cui sopra: con affettuosa nostalgia e dolcezza, ma senza rimpianti nel caso in cui non dovessimo rincontrarci.

4.5

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