Westworld1×02 Chestnut

Westworld procede spedito nell'ottimo percorso già tracciato ottimamente con il pilot. Questa volta, esploriamo questo parco estremo e inusuale attraverso gli occhi di William, un uomo alla sua prima esperienza con gli host, e allo stesso tempo abbiamo un assaggio di quali pericoli si possano potenzialmente nascondere dietro a questi inquietanti robot dalle fattezze umane!

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Approcciarsi ad un’opera come Westworld, di primo acchito, non è per nulla semplice. Scremato il primo strato superficiale dato dalla mera narrazione degli eventi che coinvolgono il parco, la serie si presta a una moltitudine di livelli di lettura, il cui risultato ultimo è una serie estremamente stratificata che sembra voler accennare a molto più di quello che viene effettivamente raccontato.
Una serie di così ampio respiro può avere due possibili epiloghi: può fare il classico passo più lungo della gamba, finendo avviluppata su se stessa preda dei propri meccanismi narrativi, o può diventare un capolavoro. Se il caso di Westworld rientri nella prima o nella seconda ipotesi è davvero prematuro da prevedere, quello che è certo è che – a prescindere dalle preferenze individuali su un genere così particolare – quello a cui stiamo assistendo è l’evento televisivo assoluto del 2016, e le speranze che la serie prosegua sugli ottimi binari da cui è partita sono più che mai elevate.

L’unico difetto del pilot, sotto certi punti di vista, era una certa prolissità di fondo, data dalla lunghezza forse eccessiva e dalla natura non didascalica dell’episodio. Nell’episodio di settimana scorsa, in effetti, nulla veniva esplicitamente spiegato e allo stesso tempo nulla era lasciato al caso, in modo tale da portare lo spettatore ad una riflessione profonda: non un’inquadratura, non un’esclamazione, non un’espressione facciale dava l’impressione di non essere stata attentamente sottoposta ad un minuzioso processo di valutazione da parte degli sceneggiatori. Lo spettatore, di contro, veniva preso di peso e immerso completamente nell’ambientazione della serie, lasciando in secondo piano i meccanismi di funzionamento degli host e del parco e consentendo a ciascuno di lasciarsi andare alle profonde elucubrazioni che scaturivano dalla visione dell’episodio.

Erase and rewind

Chestnut, in qualche modo, smussa alcuni dei (piccoli) difetti del pilot, pur non togliendo una briciola al fascino della vicenda. L’episodio risulta sicuramente più scorrevole grazie all’introduzione di un nuovo personaggio che, come noi, non risulta ancora avvezzo alle dinamiche del parco.

westworld 1x02 chestnut recensione

William, questo il nome del protagonista de facto dell’episodio, è all’apparenza un uomo tranquillo, equilibrato, che a seguito dell’ingresso in Westworld non riesce ancora a staccarsi completamente dalla sua vita al di fuori del parco, per vivere l’esperienza nel modo in cui è stata originariamente pensata: lasciando andare ogni freno inibitore e concentrandosi sulla propria volontà di azione.

Il ricordo è la vera minaccia di Westworld.

Questo è il punto cardine nello sviluppo degli host: vengono riprogrammati a piacimento, bruscamente interrotti e riciclati al minimo malfunzionamento, e ricombinati tra loro in una rete di interazioni dalla complessità incredibile, che conferisce al parco la verosimiglianza tanto apprezzata dai suoi fruitori.
Il ricordo di Abernathy era, nell’episodio pilota, una reale minaccia per il delicato ecosistema del parco, in cui ogni aspetto della coscienza degli host deve essere calibrato al millimetro; è un problema, allo stesso modo, il ricordo che viene in qualche modo instillato nella coscienza di Dolores, che le conferisce un modo di pensare inspiegabilmente atipico (“There’s something different about the way that you think“).

Viene da pensare, data l’atmosfera da “quiete prima della tempesta” che permea l’intero episodio, che questo sarà il motore degli eventi futuri, con il parco minacciato da un’inspiegabile presa di coscienza degli host e della loro eventuale capacità di ribellarsi ai loro creatori – un piccolo assaggio lo abbiamo avuto nell’episodio precedente, nelle battute finali, quando Dolores uccide con la mano una mosca malauguratamente appoggiatasi sul suo collo.

Il ricordo sembra, tuttavia, essere un problema anche per William, che fatica ad entrare nella logica del parco. La dicotomia tra il caos controllato (presente nel parco) e il caos reale (nella vita fuori dal parco) sembra creare in lui qualche conflitto che, tuttavia, non è ancora stato oggetto di approfondimento.

All you do is make choices

La libertà di esplorazione pressoché senza limiti concessa ai visitatori – in qualche modo assimilabile a quella di un odierno videogame, solo spinto al suo reale estremo in un gigantesco RPG vivo e pulsante –  consente a ciascuno di essi di scoprire la propria vera essenza. Con le relative paure e i relativi quesiti che una situazione di questo tipo può portare.

Se potessi fare qualunque cosa, disporre delle vite altrui in qualunque modo senza conseguenza alcuna, cosa farei? Mi trasformerei davvero in un implacabile assassino, in un uomo senza valori né principi?

È questa, nei fatti, l’unica vera differenza apparente tra i visitatori umani e quelle repliche quasi perfette che sono gli host, la cui diversa natura si concretizza esclusivamente nella possibilità di autodeterminarsi: questa libertà è assolutamente totale per gli umani e assolutamente nulla per gli host. Per ora, nessuna sfumatura nel mezzo, a parte qualche impercettibile segno di ribellione da parte delle macchine, su cui lo spettatore ha, peraltro, un certo vantaggio tattico nei confronti del management del parco, ancora quasi completamente ignaro dell’evoluzione delle coscienze che pian piano si sta materializzando.

westworld 1x02 chestnut recensione

La differenza tra le due “specie” presenti nel parco viene ossessivamente e violentemente gettata in faccia allo spettatore con un ritmo pressoché perfetto in tutti i 58 minuti dell’episodio. Gli host sono le costanti vittime ignare, pronte a subire qualunque angheria dai visitatori e dai programmatori; basti pensare a Dolores, per i motivi già citati nel pilot, o a Maeve – in misura forse ancora maggiore – che oltretutto è ossessionata da un sogno che ha tutta l’aria di essere un ricordo di un’esperienza vissuta in una delle sue “vite programmate” precedenti.
La donna, dalle parole che pronuncia più volte ad alcuni avventori, sembra percepire una voce costante nella sua testa che le impedisce di agire come vuole; sebbene appaia estremamente probabile che l’intera situazione le sia stata inculcata dallo staff del parco nell’intento di adescare quanti più uomini possibili, il parallelismo con la sua reale condizione di macchina dà all’intero discorso un’aura di inquietudine che mette davvero i brividi. Il momento in cui la donna dimostra di riuscire ad avere dei sogni lucidi, in cui può decidere autonomamente quando e come svegliarsi – anche nel bel mezzo di un intervento di riparazione – rappresenta il vero punto di svolta dell’episodio.

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Ma laddove gli host sono vittime, gli umani sono gli assoluti carnefici. Ad eccezione di William, gli altri personaggi – il suo amico e il personaggio misterioso ancora senza nome interpretato da Ed Harris – incarnano alla perfezione la metafora dell’uomo che, liberato da ogni vincolo, dà sfogo a qualunque impulso possibile: sesso, violenza immotivata sia fisica che verbale.
La differenza tra i due – molto meno sottile di quanto sembri – risiede nel fatto che, se il primo vive la situazione come un gioco, il secondo è un fruitore navigato del parco e ha un piano ben preciso, non ancora svelato, che comprende la ricerca del “Maze” (il Labirinto) – presumibilmente un luogo che rappresenta quanto di più estremo il parco abbia da offrire.

E si riduce tutto ad una mera questione di scelte, in fin dei conti, anche per la terza “classe” di Westworld: il management, che si prodiga giornalmente nella gestione del parco affinché i visitatori abbiamo l’esperienza migliore possibile. In Chestnut, anche quest’ultima dicotomia è resa impeccabilmente, impersonata rispettivamente da Lee Sizemore e dal Dr. Robert Ford.
I due approcci differenti alla gestione del parco sono indicativi di due personalità completamente differenti: il primo è confusionario, in cerca della sensazione più forte da servire al proprio pubblico su un piatto d’argento e quantomeno irritante (e, precisiamo, non irritante come potrebbe essere un villain in una serie tv classica, ma principalmente a causa dell’interpretazione eccessivamente sopra le righe di Simon Quarterman); il secondo è pragmatico, attento ai dettagli, sicuro del fatto che i visitatori si possano affezionare al parco solo attraverso la cura di ogni minimo particolare che li porti a rimanere a bocca aperta.

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Arrivati alla conclusione dell’episodio, la sensazione di spaesamento è evidente. Non è assolutamente una serie semplice da seguire: ogni sillaba pronunciata, ogni gesto fatto o non fatto può sembrare allo stesso tempo ininfluente o importantissimo, a seconda del livello di lettura che si decide di dare alla visione; questo puzzle complessissimo di interazioni, di cui è difficile per ora avere una visione chiara, aggiunge a Westworld un fascino tale che qualunque momento di (sporadica) lentezza viene assolutamente perdonato. Ci troviamo davanti ad un potenziale capolavoro, pronto (si spera) a spiccare il volo tessendo lentamente, filo dopo filo, una storia davvero inusuale ma raccontata con una delicatezza e una dovizia di particolari da lasciare a bocca aperta.

Il voto è di cinque porcamiseria su cinque.

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