BoJack HorsemanBojack Horseman: Fine

Series Finale L'attesa è finita, le avventure dello stallone più famoso di Hollywoo(b) giungono al termine. Preparate i fazzoletti.

9.7

Attenzione: questo articolo è scritto da qualcuno che non è ancora riuscito a metabolizzare la conclusione di un pezzo di storia della serialità contemporanea, pertanto potranno essere presenti molte imprecisioni, tantissimi sentimenti e poca, pochissima oggettività, ma si cercherà di mantenere un tono editoriale contenuto fino almeno alla parte spoiler: da lì in poi, uomo avvisato, mezzo salvato.


Negli ultimi giorni del 2019, si sono sprecate centinaia e centinaia di classifiche inerenti le migliori n cose successe nel decennio appena trascorso, qualsiasi fosse l’argomento: quello che ci riguarda da vicino naturalmente è l’ambito seriale e come ogni buon sito di recensioni che si rispetti non siamo mancati all’appello, stilando la nostra top ten degli anni Dieci del ventunesimo secolo.
Al suo interno noi di SerialFreaks, come la grande maggioranza (si spera) degli addetti ai lavori in questo campo, abbiamo inserito Bojack Horseman, semplicemente perché è probabilmente una delle serie tv più influenti di questo decennio.

Bojack Horseman ha permesso la distruzione di quel castello di carte che in realtà era la classificazione delle serie tv per genere.

Bojack Horseman non ha solo cambiato la percezione dell’animazione nell’immaginario collettivo: sotto quel punto di vista, di serie animate per un pubblico che potesse superare la soglia cerebrale dei quindici anni, la tv o le successive piattaforme ne erano già piene, soprattutto di matrice orientale ma non solo. Bojack ha permesso la distruzione di quel castello di carte che in realtà era la classificazione tramite generi: con Bojack, i “contenitori predefiniti” che racchiudevano prodotti già prontamente etichettati come commedie, drammi, serie romantiche o noir, utili solo a fare da vettori per il pubblico, si rompono, dando vita a serie tv ambivalenti e indefinibili che però hanno arricchito enormemente il panorama, prendendo tanto di quello che già c’era di buono in quegli schemi e mescolandolo, senza però essere costretti dai vincoli che erano precedentemente obbligati a rispettare.

Con gli anni Bojack si è affermato come uno show di stampo drammatico, con le prime demenziali risate della prima stagione legate al mondo “etero” di Hollywood che con il tempo hanno via via lasciato spazio all’introspezione dei personaggi principali e secondari, con fredde prese di coscienza e accendendo dibattiti su temi tutt’altro che felici come la depressione, l’esclusione sociale, la tossicità dei nuovi mezzi di comunicazione e l’artificiosità delle relazioni sociali; il tutto senza mai però direzionare lo spettatore verso un’interpretazione che non fosse del tutto sua, lasciandolo libero da filtri o giudizi che distorcessero la cruda realtà delle cose.

No one watches TV shows to feel feelings, life is depressing enough already.

Ciononostante gli autori non hanno perso negli anni la loro capacità di inserire all’interno di consecutivi ed estenuanti momenti di pathos ed angoscia, piccole scene di pura e semplice ilarità, giocando con la banalità di avere a che fare sempre e comunque con un mondo di stampo antropomorfo: scene quindi come quella inserita in questa seconda parte di sesta stagione, dove tra un colpo d’angoscia e l’altro, appare un gatto che mentre va a lavoro finisce in cima ad un albero e non riuscendo a scendere si ritrova a doversi far aiutare dai pompieri esclamando “Sorry guys, it happens all the time”, permettono allo spettatore di prendere una boccata d’aria fresca dall’incessante ritmo che è costretto a sostenere, e aiutano a ricordare che in fin dei conti si sta pur sempre vedendo “soltanto” una serie tv.

Giunti però agli ennesimi elogi per uno show che ha segnato un decennio seriale, parlare di queste ultime otto puntate senza fare alcuno spoiler è concretamente impensabile, quindi una volta superata l’immagine ogni velo di mistero verrà sfilato. Detto ciò, per chi non avesse ancora visto quest’ultima stagione finale, o per i fortunati che ancora non hanno assaporato nemmeno un episodio di questa magnifica serie, fatelo e poi ritornate qui se volete, a leggere dopo il salto la fine di un viaggio superlativo.

Parlare in toni rivelatori di un finale tanto perfetto e tanto evocativo, onirico e concreto contemporaneamente è come privare l’ignaro spettatore della sua intimità, di un momento speciale, valevole di essere visto solo con il proprio sé stesso, ma da persone che devono mandare avanti un sito che tratta di serie tv non ci si può tirare indietro nel commentare ogni genere di prodotto, soprattutto qualcosa di così spiazzante. Il finale di Bojack Horseman è un piccolo tesoro che ogni spettatore terrà stretto in un piccolo angolo del suo cuore, non ci prenderemo quindi l’onere di sanzionarlo, che sia un successo o meno, ma daremo soltanto un’interpretazione, in modo che ognuno possa confrontarla con la propria.

Come avevamo predetto all’inizio di novembre, dopo l’uscita dei primi otto episodi che accompagnavano questo lungo e doloroso esodo, ci saremmo aspettati l’unico e tragico epilogo che ritenevamo possibile e così è stato: Bojack muore. O meglio si toglie la vita, principio molto diverso dalla morte naturale o per mano di qualcun altro, perché implica una scelta e nella maggior parte dei casi molto consapevole. Il bello però è che questa conclusione, benché fosse l’unica da sempre ipotizzabile, arriva a corredo di un viaggio talmente perfetto e ben descritto che la destinazione finale risulta soltanto la naturale conseguenza e forse anche la meno importante.

Well, what are you gonna do, life’s a bitch and then you die, right? Sometimes. Sometimes, life is a bitch and then you keep living.

Bojack Horseman stupisce ancora una volta i suoi spettatori per l’abilità con cui riesce a tenere con il fiato sospeso anche in situazioni il cui esito risulta scontato. Non ci stancheremo mai di lodare la maniacale cura dei dettagli che ha pervaso tutta la serie, dalla caratterizzazione perfetta dei personaggi ad ogni più piccola storyline, dando degna conclusione ad ogni singola personalità all’interno dello show.

Fin dal primo episodio, Raphael Bob-Waksberg e il suo team creativo hanno seminato per gli episodi, ed in bella vista, come si sarebbe concluso il viaggio del nostro ormai amico Bojack fin dalla sigla di apertura, come solo le grandissime produzioni sanno fare (non è un caso che Bojack Horseman prenda tanto spunto da due colossi della serialità contemporanea come Breaking Bad e The Leftovers). La storia di Bojack inizia nella piscina della sua villa ad Hollywood e lì si conclude; e a differenza della prima volta in cui lo vediamo cadere e poi riemergere dopo l’ennesima festa piena di sconosciuti, con la flebile (o perfida) speranza che prima o poi riuscirà a diventare una persona migliore, questa volta è da solo e non può far altro che affondare, inesorabilmente, con il pensiero che lo porta all’unica persona che ha da sempre provato a fargli voltare pagina: Diane.

Il penultimo episodio, quello che è a tutti gli effetti la fine dell’ex icona di “Horsin’around”, non è però il finale della serie, ma è l’ennesima dimostrazione di come sia possibile “torturare” il proprio pubblico anche servendogli spoiler sotto il naso. La cena a villa Horseman è cucita su misura per dare l’ultimo colpo di coda a tutte le questioni in sospeso del protagonista: la madre Beatrice, che non lo ha mai davvero compreso ma che lui non è mai riuscito ad odiare fino in fondo; Secretariat che prende il posto di Butterscotch come figura paterna, quel padre che è sempre mancato e che invece il figlio avrebbe tanto voluto avere invece di dover prendere come riferimento un “personaggio”; Herb Kazaz, l’amico di una vita che Bojack tradisce proprio nel momento del bisogno; infine Sarah Lynn (perfetta incarnazione della Lindsay Lohan spesso citata da Bojack ma una delle poche guest star mai apparse nello show) lasciata lì, a morire di overdose.

La conclusione arriva a corredo di un viaggio talmente perfetto e ben descritto che la destinazione finale ne risulta soltanto la naturale conseguenza, e forse anche la meno importante.

Il punto fondamentale della cena però sono i piatti serviti agli ospiti dal maggiordomo della tenuta Zach Braff (quale miglior scelta se non il JD di Scrubs): ogni piatto rappresenta il motivo della morte dei commensali e anche Bojack ovviamente riceve la sua bottiglietta d’acqua (che sa un po’ di cloro) e un mucchio di pillole, a cui però non fa caso perché troppo impegnato a tenere d’occhio la macchia di vuoto che gocciola dal soffitto.

L’episodio dei saluti finali della serie, quindi, non è altro che la rappresentazione diluita di quel quadro che da sempre veleggiava sopra la scrivania di Bojack, lui che guarda il suo stesso corpo steso a faccia in giù nella piscina, esanime. Un epilogo che permette a Bojack e agli spettatori di chiudere idealmente tutte le relazioni intraprese in questi lunghi sei anni, con Mr. Peanutbutter, Todd, Princess Carolyn ed infine Diane.

Mr. Blue, I told you that I love you, please believe me. Mr. Blue, i have to go now, darling, don’t be angry.

L’ultimo dialogo tra i due iconici personaggi non poteva che tenersi sopra un tetto, con i due buddies distanti ma vicini, come spesso capitava loro in alcuni momenti, questa volta sotto un cielo stellato (la citazione al “riveder le stelle” di dantesca memoria e di conseguenza al finale del penultimo episodio di The Leftovers è perfetta) e sotto le note della splendida Mr. Blue di Catherine Feeny vediamo per l’ultima volta i due simboli di questo splendido show, proprio come un’altra canzone a tema blue (My Baby Blue) aveva concluso l’altro capolavoro citato prima.

  • 10/10
    Storia - 10/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 10/10
    Emozione - 10/10
9.7/10

Summary

Capolavoro generazionale. Punto.

Porcamiseria

9.7

Capolavoro generazionale. Punto.

Storia 10 Tecnica 9 Emozione 10
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