SpecialiBest of the ’10s: le serie del decennio secondo SerialFreaks

Sta per concludersi quello che potremmo definire "il decennio delle serie tv": diventate popolari negli anni Duemila, è negli anni Dieci che le serie - quelle che prima chiamavamo telefilm - sono definitivamente esplose, dando vita a un vero e proprio fenomeno di cultura pop che non sembra ancora destinato a tramontare. Per questo, la redazione di SerialFreaks si è riunita per decidere le 10 serie tv che hanno definito il decennio 2010-2019: un compito impossibile (tanto che le serie alla fine sono diventate 12) che però ci tenevamo a portare a termine. Le trovate tutte qui, in rigoroso ordine alfabetico, perché ok selezionarne alcune, ma farne una classifica era davvero impensabile.

Cresciuto in sordina ma con l’effetto di una valanga, Black Mirror è stato uno degli show più acclamati da critica e pubblico dello scorso decennio, immancabilmente stabile tra le prime posizioni delle classifiche di qualità e ultimamente al centro di un acceso dibattito su un presunto calo degli standard da quando la produzione è passata a Netflix. Al netto delle polemiche, su cui non prendiamo posizione se non per concordare quantomeno col fatto che ci troviamo di fronte a due show molto differenti, la serie di Charlie Brooker ha scioccato gli spettatori creando un presente non così distopico in cui la tecnologia è protesi tecnologica di un malessere sociale sempre più diffuso, e che proprio grazie ai nuovi strumenti si manifesta in forme che nel migliore dei casi definiremmo bizzarre. Così problemi antichi come la trattazione del lutto, la paura del diverso o finanche l’amore, trovano un'app o un device disposti a scioglierne i nodi (almeno nelle intenzioni). Il pessimismo di Brooker ha lasciato il segno insieme a un’estetica cruda e d’impatto (soprattutto nel pre-Netflix), anticipando alcune inquietanti svolte contemporanee; se poi allo sperimentalismo dell’autore uniamo i potenti mezzi del servizio di streaming, otteniamo Bandersnatch, un tentativo non del tutto riuscito di forzare la metanarrazione in un loop di scelte apparentemente libere: è proprio la natura di questo esperimento (al di là della riuscita), insieme alle poderose premesse dello show, a dare a Black Mirror la gloria nel pantheon delle serie del decennio.
Ci mancherà.

Per capire l’importanza di Breaking Bad nella serialità televisiva, bisogna fare un passo indietro di 11 anni. Nel 2008, anno di uscita della serie, tra i sei candidati agli Emmy Awards c’erano Dexter e Dr. House. Queste due serie avevano generi diversi, ma una cosa in comune: un protagonista complesso che puntata dopo puntata doveva affrontare dei conflitti esterni che non lo cambiavano mai. La graduale trasformazione di Walter White da frustrato professore di chimica delle superiori ad Heisenberg, leggendario e pericoloso produttore di cristalli di metanfetamina, ha spostato il limite di quello che era il canone di racconto – per sempre. Lo ha fatto non perdendosi la partecipazione del pubblico che ha continuato a crescere nel corso delle stagioni grazie a un frenetico passaparola fino a raggiungere ascolti record nel finale che ha chiuso anche la Golden Age della televisione. Se oggi la vostra serie preferita è Mr. Robot, Narcos o Gomorra, è anche grazie al genio di Vince Gilligan, che ci ha raccontato quanto è facile cedere al male – quello vero. Che l’abbiate vista o meno, siamo tutti figli di Breaking Bad.

La serie che in questi anni ’10 ha permesso all’animazione di ricollocarsi nelle vette dei generi seriali. Un cavallo antropomorfo ex divo di Hollywoo(d) che nell’arco di sei stagioni ripercorre inesorabilmente gli stadi dell’animo umano, con comprimari per niente abbozzati ma - anzi - tutti ben caratterizzati a delineare uno star system molto più vicino al mondo dei comuni mortali di quanto si possa immaginare. Risate amare e dolorose prese di coscienza accompagnate da livelli di animazione elevatissimi. La serie creata da Raphael Bob-Waksberg entra di diritto all’interno della nostra top 10 del decennio.

Quando si parla di Doctor Who come una delle serie del decennio fa sempre comodo specificare di quale decade si parla, considerando che la serie ha alle spalle cinquantasei anni (!) di programmazione. Basterebbe già solo questo a rendere lo show sul gallifreyano più famoso della TV una perla rara, eppure proprio nel 2010 (quindi all’inizio del nostro periodo di riferimento) avviene un cambio di showrunner che segna un cambio netto nella storia del Dottore. Al timone, fino a quel momento assegnato a Russel T. Davies, subentra Steven Moffat, autore del fortunato Sherlock. Moffat si trova per le mani un personaggio che deve tenere alto il livello dopo la performance triennale di David Tennant; l’autore decide dunque di puntare in alto, cambiando le carte in tavola e ringiovanendo ulteriormente il protagonista, incarnato stavolta da Matt Smith. Le sue avventure, caratterizzate da trame orizzontali intricate e personaggi comprimari memorabili, segnano un’impennata negli ascolti e sanciscono il definitivo successo della serie anche negli Stati Uniti. È quindi il Doctor Who di Moffat ad essere tra i migliori prodotti del decennio scorso, con una narrazione solida e rispettosa della storia del protagonista nonostante i numerosi interventi rischiosi e l’intraprendenza di certe scelte.

Il Trono di Spade è stata senza dubbio una delle serie TV più popolari del decennio, riuscendo ad acquisire un pubblico incredibile in tutto il mondo. La trasposizione dell’opera di George R. R. Martin ha portato sui nostri schermi una storia fantasy innovativa, concentrandosi soprattutto su personaggi iconici ed eventi imprevedibili, e grazie a questi elementi è riuscita a far appassionare a questo genere una fetta di pubblico che mai prima di allora si sarebbe avvicinata a draghi e non-morti. Seppur finita proprio quest'anno in maniera discutibile, seguendo una parabola discendente che ha coinciso con il "superamento" degli eventi narrati nei romanzi, è innegabile come Game Of Thrones abbia contribuito a ridefinire la televisione per come la conosciamo, ed abbia diritto ad avere una posizione nella nostra classifica speciale.

Lost è a tutti gli effetti una serie del decennio scorso, entrata a far parte degli anni Dieci solamente per l'ultima stagione. Ma è proprio pensando al suo finale che abbiamo deciso di inserirla comunque come menzione speciale nella nostra classifica. Un finale di cui ancora oggi, a quasi 10 anni di distanza, si discute e si dibatte, tra chi lo critica per la mancanza di risposte e chi invece - tra cui noi di SerialFreaks - lo elogia come il culmine emotivo dei viaggi personali di tutti i personaggi coinvolti, vero centro narrativo di tutta l'intricata rete spazio-temporale di misteri creata da Abrams, Lindelof e Cuse. Lost non ha solo sperimentato diverse soluzioni narrative da cui gli autori del decennio successivo hanno attinto a piene mani, ma ha anche dato il via a un nuovo modo di fruire gli show televisivi (partecipato, coinvolto, "interattivo" in tempi non sospetti) che si è un po' perso nell'era del bingewatching ma che, spesso, ci ritroviamo a ricordare con nostalgia.

Azione, fantascienza, poliedricità tra intenso drama e azzeccatissimi momenti comedy, assieme a una trama solida portata avanti con pochissime incertezze. Se a questo aggiungiamo una non banale riflessione su temi etici - sessualità, clonazione umana, diritto all'autodeterminazione - e un'interpretazione magistrale a più livelli da parte dell'attrice protagonista Tatiana Maslany, capirete perché Orphan Black è entrata di diritto nella nostra classifica degli anni Dieci.

Originale Netflix distribuito dal 2015, Sense8 fu bruscamente cancellata dopo due stagioni, laddove il progetto iniziale ne prevedeva cinque. Da quel momento i fan di tutto il mondo si sono battuti con hashtag e petizioni, riuscendo a ottenere un episodio speciale che concludesse le storyline lasciate in sospeso. Una vittoria, questa, che va ben oltre l’ottenimento di una degna conclusione e che racchiude in sé quella celebrazione del gruppo e dell’unità che sta alla base della serie.
Il riconoscimento come “serie del decennio”, nonostante il successo nettamente inferiore a quello che avrebbe meritato, è motivato infatti non tanto dalla trama fantascientifica, trattata spesso in modo discontinuo e volutamente rapido, quanto dalla sua premessa: personaggi eterogenei che condividono, oltre a un’eccellente costruzione, un legame empatico grazie al quale fronteggiano come un tutt’uno ogni avversità, trovando proprio nelle loro differenze il più grande punto di forza. Attraverso di loro Sense8 parla, e nel mentre ci insegna, di amore e fratellanza, e pone domande esistenziali – cos’è umano? chi sono io? – rispondendo senza retorica o didascalismo. Sense8 è un inno alla vita e all’Umanità in tutte le loro forme, che ci ricorda qualcosa che troppo spesso dimentichiamo: siamo tutti connessi nel profondo e in ciascuno non c’è solo un io, ma anche un noi, e questo è bene tenerlo a mente. Sempre.

Rispetto ad altre serie di questa classifica, più che per particolari meriti tecnici o narrativi, Stranger Things si è guadagnata il proprio posto soprattutto grazie al suo enorme impatto culturale. Partita in sordina ed autoaffermatasi grazie a un enorme passaparola con rari precedenti in campo seriale, la serie dei Duffer Brothers ha attinto a piene mani dall'immaginario cinematografico spielberghiano degli anni Ottanta, a livello sia estetico sia (meta)narrativo, utilizzandolo per narrare una storia di amicizia, di crescita e di formazione. Ma soprattutto, Stranger Things ha sdoganato questo stesso immaginario pop facendo prepotentemente tornare di moda quegli anni, quelle suoni, quei colori, da quel momento moltiplicatisi in tutti i media. Ah, ed è grazie a lei se oggi i ragazzini di dodici anni giocano di nuovo, con carta e penna, a Dungeons & Dragons.

Sebbene il libro originale esistesse da tempo, la serie di Hulu è giunta in un momento inquietantemente perfetto, proponendo una distopia che ogni giorno sembra sempre meno lontana. Una prima stagione incredibile è stata seguita da altre due che non sempre sono riuscite a non perdersi nella narrazione, ma nell’insieme rimane una serie imprescindibile. A supportarla una fotografia quasi sempre perfetta e scelte di regia in grado di sottolineare in modo intelligente la drammaticità dei momenti narrati.

Seconda creatura di Damon Lindelof in questa particolare classifica del decennio, The Leftovers è una serie breve ma rivoluzionaria, dedita all’introspezione e al racconto dilaniante di una società spezzata da un lutto inspiegabile. Le tre stagioni riflettono in maniera peculiare tre aspetti della misteriosa sparizione del 2% degli abitanti della Terra. Nella prima è protagonista il lutto della società, i suoi mutamenti e il bisogno di guarire dal dolore; nella seconda e nella terza si esplorano la fede, lo scetticismo, l’aldilà, in episodi ricchi di spunti di riflessione e carico emozionale. The Leftovers non ambisce certo a dare risposte, ma ci conduce in una storia che saprà darvi più di quanto possiate immaginare.

Quando HBO si impegna riesce a produrre delle serie TV che appassionano davvero lo spettatore: Westworld prende un’idea non certo originale e la rimaneggia da un punto di vista innovativo, lasciandoci a bocca aperta per la raffinatezza dell’esecuzione e per l’intrigo della trama, che come altre serie di questa classifica lascia parecchio spazio anche a riflessioni esistenziali sul libero arbitrio. Anche se siamo solo a due stagioni, Westworld ha tutti gli occhi puntati addosso, per scoprire cosa si cela realmente dietro la coscienza di queste macchine senzienti, le vere protagoniste di questa storia.