HomecomingHomecoming Season 2: la smemorata del Geist Group

Season Recap Questa seconda stagione espande la cospirazione legata al progetto Homecoming con nuovi personaggi e senza Sam Esmail al timone.

7.3

Quando una veterana di guerra, interpretata da un’ottima Janelle Monáe, si risveglia senza memoria su una canoa in mezzo a un lago, si mette alla ricerca del suo misterioso passato. Chi è lo scopriremo ben presto, ma le vicissitudini che l’hanno portata su quella canoa sono l’enigma di un rebus, che ci accompagnerà per 7 puntate, e la cui soluzione ruota intorno all’azienda fondata da Leonard Geist, un imprenditore con i pantaloni sporchi di terra interpretato con disinvoltura da Chris Cooper. Se pensavate che Heidi Bergman (Julia Roberts), la protagonista della prima stagione, avesse smantellato il progetto Homecoming, vi sbagliavate di grosso, perché il Corporate World contemporaneo è come la leggendaria Idra a nove teste – per ogni testa tagliata, altre due ne prenderanno il suo posto.

Homecoming con questa stagione si afferma come una sorta di serie antologica, il cui fil rouge è il Geist Group – e quasi non serve ricordarsi per filo e per segno gli intricati dettagli delle puntate precedenti. La serie nasce da un popolare podcast, creato da Micah Bloomberg e Eli Horowitz, anche creatori della serie Amazon Original, la cui qualità di racconto era data da un discreto mistero e dallo stile innovativo e avvolgente. La regia di Sam Esmail, che in questa seconda stagione ritorna come produttore esecutivo, riusciva abilmente a dar forma visiva a un prodotto pensato per l’ascolto. I 7 nuovi episodi sono invece diretti da Kyle Patrick Alvarez, regista di alcuni episodi di 13 Reasons Why, che nonostante faccia un buon lavoro tecnico di messa in scena e direzione degli attori, non riesce a replicare quel fortunato virtuosismo stilistico e cerebrale. Senza essere spiazzati dallo stile ad ogni twist, i misteri di cui si compone la storia si rivelano, più di una volta, scontati. La qualità di un rebus è data anche dalla difficoltà della risoluzione e Homecoming 2 è un rebus che si risolve già alla terza puntata.

Gli attori sono tutti bravissimi. Ma non è solo merito loro. Gli archi dei personaggi e i dialoghi sono infatti scritti con maestria. Già sapevamo che Hong Chau, che qui interpreta Audrey Temple, fosse un’attrice eccezionale – e se non lo sapevate, andatevi a vedere Watchmen! Ma è Joan Cusak, nell’eclettico ruolo di Bunda, un funzionario del Dipartimento della Difesa dell’esercito USA, che ruba la scena a tutti. Il suo ruolo non è niente che non sia già stato visto centinaia di volte in serie o film di questo tipo, ma la sua interpretazione al limite del grottesco stempera magnificamente i toni drammatici del racconto – una funzione simile a quella che aveva nella prima stagione Colin Belfast, interpretato dal grande Bobby Cannavale.

Anche se la regia non riesce a mascherare i cliché, il racconto è pur sempre un discreto esercizio di stile. Tra le cose che più abbiamo apprezzato di questa stagione c’è senz’altrol’esser riusciti ad ampliare la precedente cospirazione senza creare dei veri antagonisti. È da apprezzare per la lucida analisi dei tempi attuali il fatto – per esempio – che Leonard Geist (non è uno spoiler) non sia il capo di una corporate “Spectre” con la missione di conquistare il mondo, ma piuttosto il fondatore di una corporazione cresciuta a tal punto da volersi sbarazzare del suo creatore. Non c’è nessun governo parallelo e oscuro che mette in atto piani fuorilegge per sperimentare strani medicinali sui veterani di guerra. La vera nemesi della storia è la mentalità corporate dell’America contemporanea, dove l’irresponsabile arrivismo dei dipendenti, attraverso un impersonale e burocratico paper-pushing, danneggia inevitabilmente la vita delle persone. È quindi un peccato che il risultato finale non sia una stagione di alta qualità, come la prima. Ma non è certo un peccato mortale.

  • 7/10
    Storia - 7/10
  • 8/10
    Tecnica - 8/10
  • 7/10
    Emozione - 7/10
7.3/10

Summary

Anche se la regia non riesce a mascherare i cliché e la banalità dei misteri, il racconto è pur sempre un discreto esercizio di stile, con dialoghi e personaggi scritti con maestria. Gli attori sono bravissimi. Non è al livello della prima, ma non è una brutta seconda stagione.

Porcamiseria

7.3

Anche se la regia non riesce a mascherare i cliché e la banalità dei misteri, il racconto è pur sempre un discreto esercizio di stile, con dialoghi e personaggi scritti con maestria. Gli attori sono bravissimi. Non è al livello della prima, ma non è una brutta seconda stagione.

Storia 7 Tecnica 8 Emozione 7
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