Orphan Black5×10 To Right the Wrongs of Many

Series Finale Dopo 5 anni, l'intreccio dei fili narrativi di Orphan Black giunge a una conclusione dolceamara, dove ciascun personaggio sembra avere trovato il proprio posto nel mondo. Addio, Sestras!

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Orphan Black, series première: Sarah Manning non immagina che, scendendo da un treno e assistendo al suicidio di una donna uguale a lei, inizierà un viaggio che la porterà a conoscere il passato suo e quello di una famiglia allargata e acquisita della quale non sa di far parte sin dalla nascita.

Di strada, da quella banchina ferroviaria, Sarah ne ha fatta tanta, e noi spettatori con lei: durante questi cinque anni Orphan Black ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con un mondo e un linguaggio sconosciuto a molti (chi non ha mai dovuto stoppare l’episodio per non perdersi il filo logico delle spiegazioni scientifiche?), quella fantascienza che rischia sempre di deragliare e uscire dai binari della credibilità, ma che può diventare un racconto godibile nel momento in cui riesce a svilupparsi nell’ambito di un universo narrativo coerente e, anche se difficilmente plausibile da un punto di vista scientifico, non di meno apprezzabile. Il successo della serie risiede, forse, proprio nell’essere stata capace di portare sullo schermo una schiera di personaggi, uno stuolo corale in cui nessuno fosse meno importante o interessante dell’altro e che lasciasse spazio alle singole particolarità di ciascuno; una caratteristica che ha permesso di delineare la forma di quest’ultimo episodio, ovvero di regalare una degna conclusione ai “fili” degli intrecci di ciascun personaggio che, come racconta Helena, sono ciò che costituiscono il ricamo di tutta la storia.

Il successo della serie sta proprio nell’aver portato sullo schermo uno stuolo corale di personaggi in cui nessuno è più importante dell’altro

Il finale è diviso chiaramente in due parti: questa divisione, per quanto netta e forse frettolosa, è però necessaria a lasciare il tempo adeguato per raccontare con tutta calma le vite dei personaggi dopo il climax finale.
Nella prima parte, la corsa dei Neolutionisti si arresta nell’ala abbandonata del vecchio DYAD: nonostante le dinamiche raffazzonate che portano alla morte di Westmoreland e della Cody, e quindi al salvataggio di Arthur e delle sestras con tanto di parto bigemellare improvvisato in uno scantinato, il luogo in cui la parte (fanta)scientifica della storia ha termine è simbolico. Il DYAD è sempre stato il centro delle attività clandestine e illegali della Neolution, un centro gravitazionale attorno al quale Sarah e tutte le sue sestras hanno ruotato più e più volte. Era quindi inevitabile che tutti gli sforzi compiuti dal team di cloni trovassero qui una meritata vittoria. Molto conveniente tuttavia, a livello temporale, è la disfatta repentina dei due principali antagonisti: una scelta, questa, che sacrifica la prima parte dell’episodio all’altare dei cliché cinematografici, ma inevitabile per adattarla ai tempi ristretti della televisione.

La seconda parte del finale di Orphan Black è invece quella puramente conclusiva, una seconda metà catartica che segue il ritmo più incalzante della prima. Ora, il viaggio di ciascuna delle sorelle giunge a termine: Alison è finalmente stabile in equilibrio tra le manie dettate dal suo disturbo ossessivo-compulsivo e la necessità di cambiamento; Cosima, al fianco di Delphine, ha trovato nello scopo di curare tutte le altre centinaia di cloni del progetto Leda la propria ragione di vita; Helena, privata durante l’infanzia di una vera famiglia, si impegna con tutta sé stessa a offrirne una non fondata esclusivamente sui legami di sangue, ma non per questo meno vera.
L’unica a rimanere fuori da queste dinamiche di ritrovata serenità è Sarah: nonostante l’happy ending, infatti, non riesce ad essere completamente felice. Complice la perdita di Mrs. S. e la mancanza di situazioni che ne mettano a rischio la vita, Sarah teme di tornare ad essere quella che era prima di scoprire dell’esistenza di Beth e di tutte le altre sorelle; l’adrenalina viene a mancare ed è sostituita dal timore di tornare alle cattive vecchie abitudini. Sarah ammette di essere incapace di essere felice, una sensazione realisticamente comprensibile e che lascia un amaro in bocca che stona con il vortice di felicità che le ruota attorno.

Spesso gli show televisivi sorvolano sull’indomani dei traumi subìti dai personaggi: una volta passato il peggio, la maggior parte di loro torna alla propria vita come se niente fosse. Nel caso di Sarah, così come nella vita reale, il segno lasciato dalle tragedie che ha vissuto è quello di un’ombra che la perseguita, una presenza costante con la quale continua a dover fare i conti. Quello che più fa specie è che Sarah prova ad andare avanti, lo si vede, ma quel tarlo che la logora da dentro sta avendo chiari effetti negativi su di lei: ne è la prova il momento in cui si scaglia a parole contro Alison, che evidentemente non afferra la portata del disagio che Sarah si trova costretta sopportare. Fortunatamente, però, ed è questo il senso di Orphan Black, Sarah ha le proprie sestras Felix su cui fare affidamento: una rete di supporto che, attraverso una serie di innumerevoli peripezie, è riuscita a evolversi, ad adattarsi alle circostanze più avverse e, infine, a sopravvivere.

Dopo cinque stagioni, Orphan Black conclude il proprio cerchio in maniera esemplare: iniziata con la morte di Beth, la serie termina esaltando la vita in tutte le sue sfaccettature alla luce di una ritrovata serenità. Anche il fugace cameo di Rachel contribuisce, inaspettatamente, al lieto fine della storia delle cloni: il gesto della Duncan diventa la chiave per il riscatto almeno al cospetto dello spettatore – opportunità che però, per coerenza nei confronti del suo passato non proprio amichevole nei confronti delle altre, non le viene concessa nella storia (non che lei tenesse ad averla, a dire il vero).

In conclusione, questo episodio è l’ultimo pezzo del puzzle e si incastra alla perfezione tra gli altri tasselli, permettendo finalmente di avere una completa visione d’insieme di tutto ciò che è trascorso negli anni precedenti. Chiaramente, Orphan Black non sarebbe stato possibile senza la presenza fondamentale di Tatiana Maslany: un’attrice che come poche altre è dotata di una versatilità a livello recitativo che ha portato in vita le sestras e tutti gli altri cloni (non dimentichiamo, infatti, che Tatiana ha anche interpretato un clone uomo transessuale), tanto da farci spesso dimenticare che il cast fosse composto da una esigua manciata di attori oltre a lei.

Non c’è nessun rimpianto, sebbene la serie sia arrivata alla fine: fortunatamente, a differenza di altre serie TV, Orphan Black è terminata all’apice della sua notorietà, nel momento più opportuno, prima che potesse essere portata avanti e trasformata in una minestra allungata e insipida. Il dispiacere resta di certo, ma abbiamo anche la consapevolezza di avere assistito a un prodotto da cui, nel complesso, l’ambiente televisivo ha solo da imparare.

Farewell, sestras!

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