Grey's Anatomy15×19 Silent All These Years

In un episodio Jo-centrico viene affrontato il delicatissimo tema dell’abuso sessuale. Grey's Anatomy, e più in generale il team di Shondaland, sfoderano la loro tipica sensibilità dando vita ad una delle puntate più emozionanti della stagione.

8.8

Devo ammetterlo, quando qualche tempo fa ho sentito che Grey’s Anatomy avrebbe mandato in onda un episodio Jo-centrico ho storto il naso, pregando che questo momento arrivasse il più tardi possibile. Forse perché il personaggio di Jo non mi sembrava potesse sostenere il peso di un intero episodio costruitole sulle spalle, o forse più semplicemente perché mi aspettavo il solito copione trito e ritrito tratto dal dramma dell’adolescenza vissuta in una macchina, accompagnato da scene patetiche piuttosto che ricche di pathòs. E invece, dopo la visione di Silent All These Years mi sono ricreduta e ad ora lo considero senza dubbio uno degli episodi più toccanti di questa quindicesima stagione, che nonostante alcune cadute di stile, di puntate emozionanti ne ha sfoderate più di una.

Un corridoio di donne che vuole dire: “Comunque vada, non sei sola”

Le aspettative sono state (fortunatamente) tradite e per quaranta minuti abbiamo assistito ad un elogio alla solidarietà femminile, al coraggio e all’importanza di non nascondersi dietro la vergogna di uno stupro, il quale in ogni caso “non è colpa tua”. Certamente non un episodio leggero, ma necessario e totalmente al femminile sia davanti che dietro la macchina da presa, con Debbie Allen alla regia e Elisabeth R. Finch autrice della sceneggiatura – la stessa autrice di The Winner Takes All, il riuscitissimo episodio con protagonisti Catherine e Thatcher Grey, nonché di quasi tutto ciò che di emozionante c’è stato in queste ultime stagioni. Il tripudio del Girl Power arriva poi verso la fine della puntata, con un corridoio di donne del Seattle Grace che accompagnano e simbolicamente proteggono la paziente di Jo, presenti e pronte a mostrare il proprio sostegno; come a dire: “Comunque vada, non sei sola.”

Se una tematica simile era già stata affrontata lo scorso anno sempre dalla stessa Wilson in 1-800-799-7233, titolo già di per sé emblematico, per i fan più appassionati la memoria non può far altro che andare a Private Practice, ed in particolare a quell’episodio in cui Charlotte King venne aggredita e stuprata nel suo stesso studio. Il parallelismo è chiaro, l’unica differenza è che quella volta la sceneggiatura portava la firma della stessa Rhimes, che ha reso Did You Hear What Happened to Charlotte King? una delle puntate più toccanti, crude e intense dell’intero show.

Questa volta invece, a scrivere è Elisabeth R. Finch, che si dimostra senza dubbio all’altezza del compito affidatole e dà prova di una sensibilità affine a quella della Rhimes dell’epoca. Ora come allora, il proposito è quello di mostrare tutte le parti dello stupro guardando ben oltre l’atto in sé, che qui non viene nemmeno messo in scena, per concentrarsi invece sulla difficoltà del raccontare poi l’accaduto, sull’iter che porta alla raccolta del kit stupro, la cui gravosità è resa ineccepibilmente dalla ripetizione della formula “Are you ready?”, a cui la donna è costretta per legge ogni volta a rispondere, ed infine sull’atto ultimo del convincimento della vittima sopravvissuta del fatto che non sia colpa sua.

Parallelamente alle vicende ospedaliere, in una serie di flashback viene raccontato il confronto tra Jo e la madre biologica, che si colloca cronologicamente durante lo scorso episodio. Cambiano i fattori, ma non il risultato: il fil rouge è sempre lo stesso infatti, e durante il dialogo tra le due donne scopriamo che anche la giovane madre della Wilson è stata vittima a sua volta di violenza, taciuta e nascosta, però, e che ha portato nove mesi dopo alla nascita della piccola Jo. La prospettiva si ribalta, dunque, e se la madre era da sempre ritenuta responsabile di tutte le disgrazie della figlia, con la scoperta di quest’antica violenza questo potrebbe non essere più così vero: quasi si volesse simboleggiare un perverso circolo di violenze dal quale è possibile uscire solo ribellandosi e raccontando la propria storia, esattamente come ha fatto Jo.

Una colonna sonora inesistente ci costringe a concentrarci maggiormente sui dialoghi

Anche in questa situazione, la sceneggiatura è pressoché impeccabile: diretta, sincera, svuotata della retorica che troppo spesso accompagna questo genere di tematiche. Ma non solo, l’intera scena è svuotata anche della colonna sonora ed il silenzio è tangibile soprattutto durante i monologhi della madre, come se gli autori volessero suggerirci di prestare un po’ più attenzione alle parole, che questa volta sono un po’ più importanti del solito.

Ed infine, vorrei porre l’attenzione sulla simbologia della mano, che qui rappresenta il punto di contatto tra vittima sopravvissuta e salvatrice, ovvero tra colei che desidera affetto e colei che è pronta a donarne. E se le mani di Jo e della paziente si intrecciano dall’inizio alla fine, senza mai lasciarsi se non quando la donna si sente pronta a farlo, al contrario non appena la Wilson cerca una contatto con la madre quest’ultima se ne va, negandole anche ora il proprio affetto. Un confronto sincero, ma dal finale amaro, dunque, a riprova di quanto i nervi delle due donne siano ancora troppo scoperti.

Are you ready? Yes.

  • 8/10
    Storia - 8/10
  • 9.5/10
    Tecnica - 9.5/10
  • 9/10
    Emozione - 9/10
8.8/10

Summary

Con una scrittura delicata, ma allo stesso tempo diretta e priva di retorica, ed una colonna sonora che si fa sentire anche quando manca, si riesce ad affrontare in modo ineccepibile una tematica così controversa.

Porcamiseria

8.8

Con una scrittura delicata, ma allo stesso tempo diretta e priva di retorica, ed una colonna sonora che si fa sentire anche quando manca, si riesce ad affrontare in modo ineccepibile una tematica così controversa.

Storia 8 Tecnica 9.5 Emozione 9
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